My Sunday Spleen_anteprima singolo

In esclusiva il video di My Window, il rock noir dei My Sunday Spleen

Esce oggi il video del nuovo singolo dei My Sunday Spleen. My Window mantiene le sonorità rock noir della band milanese.

Vi presentiamo il video in esclusiva e abbiamo pensato anche di intervistarli per farveli conoscere meglio!

 

1) My window parla di una visione in un qualche modo; possiamo ricollegare alla costrizione dell’ultimo anno, alla finestra sul mondo che non potevamo attraversare?

Armando. All’inizio non lo pensavamo, anche perché My Window è stata scritta prima della pandemia. Pensavamo piuttosto alle prigioni che ognuno di noi si costruisce nel percorso della propria vita, senza accorgersi che queste gabbie interiori possono renderci prigionieri.

Poi è successo quel che è successo e la pandemia ha portato all’esterno quello che era solo nel mondo interiore, ha solo reso più visibile ciò che era percettibile. Diciamo che era nell’aria. E in questo senso sì, il pezzo e il tema del disco sono diventati molto coerenti con l’isolamento e la chiusura che ci blocca tutti.

1a) My window è accompagnata da un video che ci concedete in anteprima. Intanto grazie. Poi, raccontateci le scelte anche stilistiche di questo video: il b/n, l’atmosfera fumosa e la scenografia quasi assente. Cosa significano?

Armando. Prego! Mah, sinceramente abbiamo voluto prendere le distanze da videoclip che vogliono raccontare una storia. Non perché non ci piacciano, ma perché il momento è quello che è e non ci permetteva di esprimerci liberamente. E quindi la presa di posizione è stata: mettiamo solo la musica. Noi e il pezzo. Abbiamo chiamato Massimiliano Pantucci, che viene dal cinema (è stato il direttore della fotografia di Ermanno Olmi, tra gli altri), ha sensibilità musicale, e gli abbiamo dato carta bianca dicendo, “fai uscire la forza del pezzo”. E possiamo dire che c’è riuscito, anche lavorando sui semitoni del bianco e nero, mai eccessivamente contrastato e sapientemente calibrato da un colorist elegante come Danilo Vittori.

2) Il singolo anticipa l’uscita dell’album, Prisoners of Nowhere, datata 9 aprile. Quali storie ci racconta? Saranno tutte in chiave rock/noir?

Vincenzo. Se il precedente album, Before (2017) ha rappresentato il disco dei sentimenti dell’identità perduta e ricostruita attraverso schegge di memoria e immagini poetiche, “Prisoners of Nowhere” è il disco delle emozioni. Un lavoro “a fuoco” sulle nostre prigioni interiori, un buio che ci tiene al guinzaglio e ci distanzia dal nostro vero Essere. Viviamo un’epoca dark, ambigua, attraversata da mille tensioni che esplodono nella nostra musica e nei nostri testi. Il disco riflette su questa sensazione di libertà condizionata alla quale il più delle volte noi stessi ci consegniamo per paura trasformare le cose.
Stilisticamente il sound è cambiato, si è fatto secco, teso, con influenze new wave e post-punk. È emerso il lato più anarchico della band, ma direi la melodia rimane la rotta delle canzoni dei My Sunday Spleen.

Armando. C’è molto amore, a volte anche un un po’ adolescenziale, sognante, nei nostri pezzi. C’è l’amicizia che aiuta a ripercorrere la vita, c’è un pezzo come Citizen of Nowhere che parla del dramma di chi viene sradicato e deve attraversare il mare per sopravvivere.

C’è sempre l’inconscio che si aggira, ecco perché le atmosfere, anche delle liriche, sono spesso noir.

My Window Artwork My Sunday Spleen
My Window Artwork My Sunday Spleen

3) Il disco è il secondo album dopo l’ep d’esordio e Before, del 2016. Com’è cambiata la vostra musica dal 2013 a oggi?

Armando. È più compatta, più diretta. In questo ci ha aiutato anche la produzione concreta di un produttore esperto come Ettore Gilardoni, in arte “Ette”. Abbiamo mantenuto le atmosfere, ma con maggiore capacità di sintesi anche per quanto riguarda le strutture. Ci sono sempre accordature aperte e intuizioni armoniche che ci appartengono, ma rispetto ai primi lavori, forse, questo è più maturo.

Vincenzo. Assolutamente d’accordo. Prisoners of Nowhere rappresenta un lavoro più corale e più coeso a livello di gruppo. Si sente la convinzione la band e il risultato va anche oltre le aspettative. In questo clima non è stato difficile registrare questo disco.

4) Il vostro sound sa tanto di british, avete degli artisti di riferimento, sia di questa scena che di altri generi musicali?

Armando. Siamo tutti e tre idrovore di musica. Abbiamo tantissimi dischi e possiamo dire che sono entrati tutti nella nostra musica, americani e inglesi.  I gruppi a cui ci sentiamo vicini ora potrebbero essere The National, gli Interpol, gli Editors, gli Arctic Monkeys. Ma c’è tantissima storia del rock che continua a ravanarci dentro, dal blues ai Cure, da Dylan alla new wave, dagli Who ai Radiohead.

Vincenzo. È sempre un giochino complicato da fare. Come dice Armando abbiamo ascoltato così tanta musica che ci siamo dentro fino al midollo! Abbiamo portato tutti dentro al progetto le nostre sensibilità e i nostri ascolti ma c’è la mediazione personale, con un livello di autocensura piuttosto alto, che però è una garanzia di autenticità.

Paola. Abbiamo influenze musicali molto diverse e a volte contrastanti, ma come dice Vincenzo, la nostra forza è stata proprio nel riuscire a mediare fra esse trovando un nostro sound. Personalmente le mie radici più profonde affondano nel Punk e nella New Wave dei primi anni ’80, anche se per questo disco ho tratto molta ispirazione dai Black Rebel Motorcycle Club.

5) Siamo curiosi, com’è iniziata la vostra storia?

Armando. Ci ha uniti il nostro primo batterista, Walter Mammoliti. Inizialmente era ritrovarsi per il piacere di suonare. Non c’era neanche uno di noi che suonasse il basso. Piano piano, eseguendo le prime canzoni scritte da Vincenzo, abbiamo trovato un suono. Dopo un anno, abbiamo capito che stava nascendo qualcosa di pulsante. Abbiamo fatto il primo EP, autoprodotto. Poi abbiamo incontrato Massimo Bignotti, che in passato aveva lavorato con gente del calibro di Pino Daniele e Anthony and the Johnsons che ha creduto nei pezzi e ha prodotto Before. Dopo quel disco è arrivata Paola, abbiamo fatto parecchia strada e il nostro suono è cambiato. 

my sunday spleen
my sunday spleen

6) La malinconia della domenica mattina in effetti è un male diffuso. Come mai avete scelto questo nome? 

Vincenzo. Il nome è in parte merito di mia moglie, che notando il mio umore domenicale sempre tendente al malinconico mi disse un giorno: “tu hai lo spleen della domenica”, riferendosi lo spleen baudelairiano. Pensai subito che se avessi creato il progetto musicale che stavo già maturando lo avrei chiamato “My Sunday Spleen”. Descrive perfettamente il mio stato d’animo quando prendo la mia chitarra e incomincio a scrivere. Molti brani dei My Sunday Spleen nascono così, tra luci ombre, al tramonto della settimana, quando i sentimenti sono sospesi, in tensione tra una fine e un inizio. 

E come la combattete?

Armando. Non la devi combattere! Devi lasciarla accadere. Accettarla come controparte della vita vera. E’ una sensazione pesante, può essere anche ansiogena. Ma passa, sempre. Probabilmente serve ad avere voglia di ritornare in pista il lunedì, per reazione…

Paola. Suonando, disegnando, leggendo… dopotutto l’arte serve proprio a questo: è un processo costruttivo d’introspezione per affrontare ed esorcizzare il proprio malessere, dare un contesto ad emozioni che non si riescono a spiegare razionalmente.

Vincenzo. Se hai l’inferno nell’anima, scrivici una canzone! (ride)

7) Far un disco di questi tempi vuol anche dire fare i conti con l’assenza di contatto con il pubblico. Che misure avete adottato per evitare la malinconia da live?

Paola. Il palco mi manca da morire ed è purtroppo insostituibile, ma nostro malgrado cerchiamo di adattarci alla situazione. La mia vera preoccupazione è pensare a cosa resterà del circuito live indipendente alla fine della pandemia, visto che già si reggeva a malapena prima. È stato davvero doloroso assistere alla chiusura permanente di molti locali/circoli storici in questi mesi.

Vincenzo. …pensare a quando sarà possibile fare un live. Nel frattempo, ho fatto qualche “live” via social, ma non è lo stesso che suonare con Paola e Armando. Bisognerà organizzare uno streaming ma questo non potrà mai sostituire il pubblico. Dopotutto l’aggregazione è la ragione per cui vale davvero la pena di provare ancora a fare musica. 

Armando. È tremendo. Sembra che la parte intangibile degli esseri umani, quella che nasce dall’arte, che scava più nel profondo, come la musica, sia completamente secondaria. Si rimuove l’effetto psicologico dell’assenza stessa della vita. Sarà dura non poter suonare questi pezzi appena esce il disco ad aprile. Speriamo che qualche piccolo festival possa vedere la luce almeno in estate.

My sunday spleen Live
My sunday spleen Live

8) Essere un musicista o un operatore del settore musicale in questi tempi è dura. Come vivete questa situazione e cosa potrebbe essere diverso, secondo voi?

Armando. Un anno senza musica, senza teatro, con pochissimo cinema. Un esercito di artisti e tecnici senza lavoro Famiglie sul lastrico.

L’altro giorno siamo passati all’Ikea di domenica, eravamo ancora in zona gialla. Sembrava di essere nel parterre di un concerto di Springsteen. Il posto più pericoloso e assembrato d’Italia.

Però niente musica, né in teatro, né all’aperto. I primi mesi di lockdown, 4/5 dei lavoratori dello spettacolo sono rimasti senza ristori. È tutto sbagliato. Nessuno, in nessun governo, sa veramente come funziona l’economia dell’arte.

Serve un Rinascimento in cui un nuovo Fondo per lo Spettacolo contribuisca al sostentamento degli artisti e che non sia divorato da pochi enti grossi, ma diffuso. Come in Francia. Solo così si può progredire. In Italia siamo ormai tornati al Medio Evo. Peggio, anzi, allora i trovatori e i giullari di corte venivano tenuti in gran conto.

Paola. Io faccio il backliner di lavoro, per cui il colpo l’ho subito sia come musicista che come tecnico e trovo oltraggioso che ad un anno di distanza siamo esattamente al punto di partenza. Anno in cui si sono formate associazioni, iniziative, ci sono state manifestazioni e proposte per aiutare e far ripartire il settore, tutte puntualmente ignorate dal governo, manipolate dai media (un esempio su tutte le foto di Bauli In Piazza riutilizzate a casaccio sui giornali come esempi di assembramento) e male interpretate dall’opinione pubblica (come l’Ultimo Concerto). Mi sembra che il modus operandi sia solo di mettere la proverbiale pezza sul problema, piuttosto che cercare delle soluzioni e mi sento solo presa in giro

I punti su cui chiediamo attenzione come categoria possono essere trovati qui.