Dopo il SOLD OUT di sabato, si apre sulle note e sulle parole di Apocalypse Now il concerto degli Zen Circus, domenica sera al Locomotiv Club: uno sprono a privarsi degli stigmi sociali che immobilizzano l’azione, e invece a conservare l’istinto animale e combattivo.
Questa, la trama di tutto il concerto. Due date nella Bologna che tanto li desidera, dopo esser stati presenti già ad ottobre. Anche la città emiliana, infatti, è stata strada per i loro primi passi: sul palco ricordano i momenti in cui suonavano in piazza Maggiore o sotto i portici quando, prima di esplodere per fama e successo, nel ’94, potevano ancora alimentarsi del proliferare artistico della città.
“La terza guerra mondiale” sul palco, nona opera compiuta del Circo Zen: è il primo singolo del cd quello con cui si presentano, brano ad esso omonimo in cui si parla di una guerra mondiale non voluta ma necessaria per “cominciare una nuova era”.
Una scelta obbligata, dunque, come quella che si racconta in “Ilenia”, la scelta di aspettare e non agire, di subire, perché le rivoluzioni oggi si fanno solo quando le piazze sono vuote.
“Aspetto la rivoluzione / Ma aspettare è non agire / Scegliere di non scegliere / Una scelta obbligata / Ilenia, La piazza è vuota / Ilenia, La piazza è muta / Ilenia qui le piazze sono affollate / Ma innocue / Ormai le piazze fanno rivoluzioni solo quando sono vuote”: l’unica regola della società è quella del dinamismo, che oggi sembra scomparso, dopo un passato intriso di senso della rivolta, di ideologie pregne di una tensione a tratti poetica. La stessa regola deve valere per il concerto: non smettere mai di muoversi perché, grida Appino dal palco, “più voi fate casino, più noi facciamo casino”. Il testo di “Ilenia” riprende il carteggio tra la band e una ragazza, Ilenia, in cui vengono scambiati pensieri e riflessioni sulla possibilità di riappropriarsi ancora di un senso di ribellione.
Sul palco del Locomotiv Appino, Karim e Ufo, lo zoccolo duro della band ormai ventennale, in più Francesco Pellegrini alla chitarra elettrica.
Un continuo scambio di battute tra Appino e Ufo, negli intramezzi tra le canzoni; poi il bassista che prende una sigaretta dal pubblico e l’accende, scherzando sul fatto che vorrebbe prima finirsela, poi cominciare la nuova canzone. Un pubblico stanco, come l’hanno definito gli Zen, e la causa è la domenica. Poi, però, alla “prova di democrazia” che la sera precedente non ha funzionato, la platea fiacca della domenica ha risposto con prontezza: una band che vuole sradicare l’abitudine di rientrare in scena dopo il “bis” dei fans e propone di non farlo, terminando il concerto in maniera lineare. L’idea viene accettata dal sottopalco ma, scherzano, “non dovete fare come i votanti della Brexit: se si vota una cosa, poi bisogna tenersela”.
E poi “Canzone contro la natura”, “Gente di merda”, “20 anni”, “Non voglio ballare”, “Andate tutti affanculo”, “L’amorale”, “La provincia crea dipendenza”, “Zingara”, “I Qualunquisti”, “L’anima con conta”, “Il terrorista”, “La democrazia semplicemente non funziona”, “Fino a spaccarti due o tre denti”, “Un egoista”: sul palco canzoni che rivivono di ideali di lotta, che polemizzano verso stigmi di una società paralizzata, in cui riemergono i ricordi di un padre scomparso da un po’.
Senza il bis, la buonanotte ce la dà “Viva”, un inno ad aprire gli occhi nella società dell’apparenza, dove schierarsi e prender parte significa solo gridare un viva al cielo, ma non crea azione, non crea reazione, non crea emozione: tanto, vivi si muore. Ma la prova del contrario ce la danno proprio gli artisti, a dimostrazione che, nonostante tutto, ci si può ancora creder: la band non è mai stanca sul palco, anche se vivi si muore.
Di Angela Curina