Il Vibra di Modena non è di per se un locale molto grande, ma da sempre spicca per la proposta musicale che attira molto pubblico, anche da lontano. Noi lo abbiamo vissuto venerdì 16 marzo, quando assieme ad un pubblico molto variegato ci siamo accalcati sottopalco per il concerto di Willie Peyote con Frank Sativa e la Sabauda Orchestra Precaria. Il nome della data era già sintomo di qualità: “Ostensione della sindrome TOUR”. La sindrome, ovviamente, era quella del Tòret.
La luce bassa rifletteva sulle corde fosforescenti del basso impresso nel gigantesco murales sulla parete. Sul fondo, il merchandising intercettava tutti i nuovi arrivati, giusto prima di finire davanti al bancone. Qui, tre baristi servivano gli assetati amanti di Willie Peyote, distraendoli solo parzialmente: alle 23, dopo l’esibizione di Safari Surround, si è levato un coro unanime con lo scopo di far uscire Willie Peyote. Sul palco, tra la betteria, il basso e le tastiere spiccava il “tòret” che da il nome all’ultimo album del rapper torinese.
Il coro serve dapprima a fare uscire il basso e la batteria, poi le tastiere e la chitarra della Sabauda Orchestra Precaria che parte in uno “slego” musicale, con il risultato di far crescere ancora di più l’attesa. Finalmente Willie si palesa, e, come sottolinea poco dopo tra una canzone e l’altra, mantiene l’aria “da impiegato o batterista. Che sono stato tutti e due e in entrambi i casi mi hanno licenziato“. Il concerto al Vibra è il secondo nel giro di due mesi, un record, che si sente nell’attacco e nello svolgimento del live: l’atmosfera è, se possibile, più sciolta che in altre esibizioni dopo un breve saluto partono a raffica i pezzi. Dopo diversi estratti da La sindrome di Tòret l’energia è al massimo e sottopalco si respira aria di trincea: strettissimi si cantano Le chiavi in borsa”, Ottima scusa, Giusto la metà di me, oltre a Portapalazzo, che per chi ha vissuto a Tùrin è un’inno alla città, quella più aperta e variegata. Il dialogo con pubblico è un botta e risposta continuo intrevallato da discorsi tra i musicisti sul palco e complimenti per la batteria che “ha fatto scrivere che facciamo addirittura del jazz“. I messaggi di Willie Peyote sono diretti soprattutto alla fascia 20-30 anni che si sta sgolando (ma non solo), e ironizzando sul suo aspetto da non rapper con la giacca della comunione lancia indicazioni poco ironiche: non si vive per il lavoro, bisogna fare ciò che ci rende felici in un paese nel quale ci rispettiamo e proprio qui parte una Non sono una razzista ma... datata 2015, ma più che mai attuale.
Con Educazione Sabauda si tocca forse l‘apice del live che deborda anche dal palco: se Willie canta fino a questo momento in maniera “composta”, scosso soltanto da accenni rap delle mani, il tema del razzismo e il pezzo C’era un vodka lo scuotono facendolo ballare con noi. I due successi dell’artista sabaudo sono i più energetici del live, grazie anche alle tinte ska e punk spennellate dalla batteria, che acquisisce sorprendentemente molto più spessore rispetto all’inciso. L’immancabile bis, che non prevede repliche, mescola pezzi di Educazione Sabauda (2015), fino a ripescaggi da Non è il mio Genere, il genere umano (2014), secondo album dell’ormai acclamatissimo torinese: Che bella giornata, Willie Pooh e allora ciao…. Dopo un’ora abbondante di live e un piccolo alterco causato da un cellulare disperso sul palco le pillolle di realismo by Willie Peyote volgono al termine senza avere dimenticato accenni alla situazione politica, lavorativa e sociale fatti con uno stile inconfondibile e difficilmente imitabile. La giacca della comunione viene lanciata sulla spalla e i musicisti spariscono dietro alla coltre di luci.
Smontando il palco parte il dj set che accompagnerà il pubblico all’alba, mentre ciondolando formuleremo una risposta: Wilie Peyote ci piace perchè è un rapper non canonico, che parla di temi importanti con un registro inclusivo e ha una copertura che va dai 20 ai 40. Che bella giornata…o serata.