Venerdì 10 maggio, Marostica, piazza gremita per un live. Le cose non sono andate come spettatori ed organizzatori si aspettavano. Il cantautore veneziano Porfirio Rubirosa, durante il concerto è stato colpito da un malore. O meglio, sembrava così, finché non è arrivato Gesù.
I musicisti l’hanno soccorso sul palco, da un’ambulanza è sceso il personale medico, tentando una prima rianimazione del cantante. Ma ecco la svolta: tra il pubblico si è scatenata una notevole agitazione, senza capire che si trattava di una messa in scena, come chiaramente si è capito all’apparizione di Gesù Cristo, che ha esortato i medici a farsi da parte per intervenire in maniera più “incisiva”, con una vera e propria resurrezione.
L’ organizzatore infastidito è salito sul palco per interrompere definitivamente la performance del cantante, esortandolo a scusarsi pubblicamente con pubblico e medici, in un’atmosfera che definire surreale è dir poco. Sarebbe stato forse sufficiente, per gli astanti, soffermarsi fin da subito sul sottotitolo dello spettacolo in scena, che riportava la dicitura “non è come sembra”.
Porfirio Rubirosa di giorno veste la toga dell’avvocato e i suoi spettacoli sono famosi per il dadaismo e teatro-canzone surreale; spesso poi si spingono a situazioni estreme nelle quali diventa difficile distinguere la realtà dalla finzione, non è nuovo a performance che fanno discutere.
Nel 2008, assieme al giornalista musicale Franco Zanetti, ideò il movimento della C.A.C.C.A., acronimo di “Canzone d’Amore contro Canzone d’Autore” con il quale manifestò davanti al Teatro Ariston per tutta la durata del Festival di Sanremo, chiedendo a gran voce la reintroduzione di brani sdolcinati nel palinsesto della kermesse. In quell’occasione venne fermato dalla Digos. Dopo i fatti di venerdì scorso, anche il prosieguo del suo tour estivo sembra essere a rischio, perché alcuni promoter temono di non riuscire a gestire l’imprevedibilità degli spettacoli di Porfirio Rubirosa, che comunque sulla sua pagina facebook ha scritto un lungo post di scuse.