Siamo stati al concerto dei Metallica all’Unipol Arena di Casalecchio il 14 febbraio e dopo aver raccolto le idee abbiamo deciso di raccontarvelo.
Non me ne vogliano i fan di grandissime band metal come i Megadeth, i Manowar, gli Slayer e altri, ma il volto del metal all’esterno del suo pubblico più affezionato lo mostrano Iron Maiden e Metallica.
Degli Iron Maiden ne parleremo dopo il concerto di giugno a Firenze, dei Metallica ne possiamo parlare ora. Premetto di non esser mai stato prima d’ora ad un concerto di Ulrich, Hetfield, Hammet e Trujillo e che quindi non posso far giudizi di merito del tipo “i primi live eran meglio!” o i classici commenti dell’era facebook. Sono cresciuto ascoltando e suonando i loro pezzi sin da adolescente, anche se capisco che ciò non fa di me un esperto
Mi soffermerò dunque sul concerto del 14.
L’Unipol Arena innanzitutto è un posto fighissimo per i concerti e almeno sulla location vai sul sicuro. La struttura del palco è montata al centro del palazzetto. Una scelta controversa: da un lato dà la possibilità ad un maggior numero di persone di vedere il concerto da sottopalco, dall’altro impedisce di godere dell’interezza del concerto, dato che ad ogni canzone si riesce a vedere due o al massimo tre elementi della band, ma mai tutti contemporaneamente.
E qui la prima critica che mi sento di fare. Da musicista, quando assisto ad un concerto, adoro vedere l’intesa tra i membri della band e vedere i gesti di tutti i musicisti, e questa cosa un po’ mi è mancata.
La band d’apertura, i norvegesi Klevertak, fanno il loro ottimo compito di fronte a una platea che sta ancora cercando il proprio spazio per godersi al meglio il concerto. Ottima band, sicuramente da tenere d’occhio. Aprire ad un colosso del rock non è mai semplice ma loro lo fanno bene.
Sulle note di The Ecstasy of Gold di Morricone salgono sul palco i quattro non più giovanissimi cavalieri. La musica parte subito molto carica con Hardwired, da cui prende il nome il tour. Loro sono decisamente degli animali da palco, infondono energia al pubblico, ma l’energia emanata viene assorbita anche dalle centinaia di cellulari che si alzano a fotografare o riprendere la band. Decisamente troppi per chi cerca di godersi lo spettacolo.
Anche perché, parliamoci chiaro, nessuno guarda più le foto del concerto il giorno dopo.
La scaletta prosegue tra nuovi e vecchi pezzi. Il pubblico si sgola su Seek & Destroy , Master of Puppets, For Whom the bell tolls e io mi divincolo tra persone fin troppo tranquille fino a raggiungere un gruppo di ragazzi che – finalmente – si dedica a ciò che dovrebbe essere la norma in un concerto hard rock: il pogo.
Gli schermi luminosi che scendono e risalgono dal tetto con diversi video a seconda del pezzo danno sicuramente un effetto sconvolgente allo spettacolo, ma i piccoli droni luminosi che si sollevano dal palco ad un certo punto appaiono, a mio avviso, un po’ troppo.
L’omaggio a Caruso dell’indimenticato e indimenticabile Lucio Dalla è certamente azzeccato, sicuramente di più rispetto a Vasco Rossi e Nel blu dipinto di blu proposti nelle altre due date italiane del tour, ma non si impone abbastanza per far cantare tutto il pubblico. Qui dove il mare luccica e tira forte il vento….dona applausi a scena aperta al mitico Robert Trujillo che si carica sulle spalle l’esecuzione del pezzo.
Whiskey in the Jar, nella versione dei Metallica, è stata la prima canzone che ho suonato con la mia prima band e ascoltarla dal vivo è stata sicuramente un’emozione unica, come cantare in coro con tutta l’Unipol Arena le parole di Nothing Else Matters, così come lo è stato tutto il concerto e portarsi a casa un plettro.
Dopo 37 anni di carriera i Metallica, diciamocelo, possono fare quello che vogliono, vivono giustamente di rendita dati gli infiniti successi cantati da un pubblico che attraversa tutti gli stili musicali e tutte le generazioni ancora in vita.
Impossibile chiedere altro a questi mostri sacri della musica, resta solo un po’ di amaro per l’assenza del metal. Al di là della musica, è mancato il metal inteso come anfibi, giacche di pelle, pogo senza freni… tanto da parte della band, quanto da parte del pubblico. Insomma un fantastico concerto che si distanzia però molto dall’idea di metal caro a chi, come me, ha una ESP nera in camera.
Ma dopotutto, se così non fosse i Metallica non sarebbero i Metallica e non avrebbero mai vinto il polar music prize, una sorta di Nobel della musica. Tra le motivazioni del premio si legge: «dai tempi del tumulto emozionale provocato dalla musica di Wagner e dai cannoni di Tchaikovsky, nessuno come loro ha saputo creare musica tanto fisica e furiosa, ma allo stesso tempo accessibile. Attraverso una formazione di musicisti virtuosi e l’uso di ritmi vorticosi, i Metallica hanno portato il rock dove non era ancora mai arrivato. Nel loro mondo, la stanza di un teenager come una sala da concerti può trasformarsi in una Valhalla. E la forza dei loro album senza compromessi ha aiutato milioni di ascoltatori a trasformare il loro senso di alienazione in un superpotere».
E così era, è e sempre sarà.