Pochi giorni fa è uscito Lacrime, un brano che anticipa l’uscita del nuovo album di Carlo Pinchetti. è la voce dei Lowinsky, Carlo durante questi mesi di lockdown e di sospensione forzata dell’attività live, ha dato vita al suo progetto solista.
Conosceremo l’album ad aprile 2021, grazie alla collaborazione tra Gasterecords, La stalla domestica e Moquette Records.
Il disco è stato registrato nel suo studio casalingo e successivamente mixato/masterizzato da Pierluigi Ballarin (The Record’s) all’Unnecessary Recordings di Bologna. Tra le collaborazioni Gigi Giancursi (ex Perturbazione), lo stesso Pierluigi Ballarin, Marco Brena (Vanarin), Elena Ghisleri e Linda Gandolfi.
Abbiamo deciso di fare qualche domanda a Carlo Pinchetti, sul singolo, ma anche sul suo lavoro solista. Ma prima vi mostriamo il video di Lacrime.
- In quest’anno pandemico molti artisti hanno scavato nei meandri della propria storia e spesso hanno raccontato parti molto intime di sé. Il video del primo singolo, Lacrime, uscito pochissimi giorni fa sembra frutto di questo percorso. Ci abbiamo visto giusto?
Direi di sì, o meglio, io ho sempre parte della mia mente rivolta al passato. Questo perché ho avuto un’infanzia molto bella, come si può dedurre facilmente dal video. E i ricordi per me sono sempre una risorsa a cui aggrapparmi nei momenti più difficili.
- Lacrime anticipa l’uscita dell’album prevista per aprile 2021. Che storie racconti nelle 11 tracce del disco?
Non racconto mai storie, non esplicitamente quantomeno. Non sono capace di dettagliare vicende umane alla MacCartney, la mia poetica è più “istintiva”, diretta. Provo a trasformare emozioni in melodie e parole, senza avere prima un piano. Chiaramente, essendo un disco scritto e prodotto in questo momento tragico del percorso dell’umanità, non può che risentirne. Nel bene come nel male.
- La lavorazione è stata particolare: un po’ casalinga, un po’ raminga e approdata a Bologna. Com’è stato lavorare in questo modo?
È stato entusiasmante, il lockdown mi ha obbligato a compiere un percorso che già mi ero prospettato da tempo ma non avevo mai portato avanti, ovvero la registrazione di un disco acustico in autonomia. La fortuna poi è stata avere un amico come Pier Ballarin che, da alcune foto sui social, si è accorto di quello che stavo facendo e si è proposto di occuparsi del mix. Si è sviluppata una bella collaborazione a distanza, durata alcune settimane, ci siamo tenuti compagnia. Ovviamente il risultato è infinitamente migliore di quello che sarebbe stato senza il suo intervento.
- Raccontando questo lavoro commenti: “se è vero che non esiste via di fuga dai disastri della vita, la musica può però essere la migliore illusione, “Una Meravigliosa Bugia”.A noi la musica appare maledettamente reale, cos’è invece per te, nella tua vita e nella tua quotidianità?
La musica è maledettamente reale finché la vita non ti prende a calci nei denti sul serio, allora ti accorgi in un attimo che non ha più senso. Quindi, fintanto che le cose vanno bene, la musica ti fa credere di essere indispensabile o di poterti addirittura salvare. È bello crederlo, ma non è vero.
- Inevitabilmente un album che si avvicina al folk americano ci fa sognare dei viaggi, delle terre lontane. Quali sono le tue ispirazioni musicali, cosa hai ascoltato nella creazione dell’album?
In effetti ho ascoltato un mucchio di roba, innanzitutto i dischi solisti di Paul Westerberg, Evan Dando, sempre presente nel mio lettore Cd, le cose più acustiche di John Frusciante, ma anche Syd Barrett e soprattutto “Hurt Me”, il bellissimo disco acustico di Johnny Thunders.
- Sei stato la voce dei Lowinsky, con questo progetto solista ci stai preannunciando una separazione dalla band o hai solo avuto una necessità di lavoro in solitaria?
In questo periodo storico non è proprio possibile fare alcun piano, i Lowinsky non si sono sciolti, ci vogliamo sempre bene e continuiamo a frequentarci. In particolare con Andrea e il suo studio LK Music Workshop sto continuando a collaborare con una certa assiduità. Ciò detto, sarebbe una bugia dire che non siamo rimasti scottati dal mancato tour e promozione a seguito dell’ultimo disco.
- Tasto dolente: presentare un album ora significa anche fare i conti con l’assenza di live e di contatto con il pubblico. Come ti relazioni a questa mancanza? O c’è ancora una speranza?
Mi relaziono molto male con questa cosa, sono più o meno 15 anni che suono in giro e la sosta forzata mi turba, ad ogni modo confido di poter fare qualche data la prossima estate, come ho fatto nella scorsa. Peraltro la dimensione acustica potrà certamente aiutare.
- Prima di salutarci, puoi scegliere per noi e i nostri lettori una canzone e spiegarci il perché della scelta?
White Lighters – “Tied to a chair”, è una canzone disperata, semplicissima, che non conosce nessuno e piena di carica emotiva. È uscita da poco ed è presente in un disco che non riesco a smettere di sentire, forse anche perché trovo alcuni punti in comune con il mio.