Il 16 febbraio è uscito il nuovo album di Beatrice Antolini. La musicista marchigiana, adottata dal sistema musicale bolognese per il suo penultimo lavoro, latitava dai negozi di dischi (quelli digitali, che esistono ancora) da più di tre anni. È stato nel 2014 che ha sommosso le acque musicali con Beatitude, che ho sempre pronunciato male peraltro, credendo si dicesse Beattitude. L’attitudine di Beatrice Antolini.
Un’attitudine che io vedevo nella sua energia, e che ha evidentemente maturato nei lunghi mesi della sua assenza. Poi basta premere play e già dalla prima traccia di L’AB esplodono, detonano al contempo voce e strumenti. Probabilmente prenderò a pronunciare male anche questo titolo, a mo’ di gioco, e lo penserò come LAB, facendo disperdere quel piccolo apostrofo. Un laboratorio, sembra questo il luogo dove si riproduce questo nuovo lavoro,e dove la Antolini come una scienziata pazza o un’alchimista mescola in solitaria flaconi, boccette. Piccola variante, al posto delle provette colorate ci sono la voce, peculiare, graffiante e quasi sempre elettrica, e poi chitarra, basso, batteria, percussioni, synth, piano. Tutto lei, che corre quasi in trance da uno strumento all’altro e produce, in completa autonomia creativa, nove brani. Ci sono certo le prove, che individua prima in Second Life e poi in Forget to be. Finita la fatica e forse passata l’ondata di energia sperimentale che non può che affascinarci, le tracce vengono consegnate ad un supporto (de La Tempesta Dischi) dove lasciano il segno di L’AB. Una sperimentazione che però affonda bene gli arti nella contemporaneità, eviscerando in maniera originale temi che sono più che comuni: l’umanità e la (dis)umanità, le debolezze, tutte le sfaccettature della vita attuale. Pur mascherati dietro a suoni e voci distorte, i testi inglesi spaziano da un primo momento di alleggerimento, con Forget to be, ad una visione che scruta l’interno con Second life. Fino alla fine del disco siamo rimbalzati come in un flipper tra messaggi positivi, negativi, intimi, più generici, ermetici ed espliciti. È così che si passa da Until I became a Subba, da Total Blank che è forse il testo più forte di L’AB, a What you want. Sarà per questo continuo peregrinare psichico che la conclusione dell’album, dopo un non troppo malinconico I’m feeling lonely trova la perfetta soluzione: Insilence, come stato di grazia, di calma, quella raggiunta a laboratorio concluso, ribaltato, riempito di nuovi esperimenti.
E così io me la immagino, questa Beatrice Antolini che ci consegna in frutto del suo ultimo sperimentare, L’AB, e poi se ne va, come aveva fatto con Beat(t)itude. Ma le rimane addosso quella inconfondibile patina che solo chi ha uno speciale e privilegiato rapporto con la musica può sfoggiare, uno smalto che parte dall’infanzia quando ha incontrato il pianoforte. Ma noi la aspettiamo, e quando questo nuovo album sarà usurato sappiamo già che arriverà del nuovo.