brandes meltingpot

Il disco della settimana è un Meltingpot indipendente dei Brandes

Forse è un po’ ska, forse rock, ma anche un po’ progressive. Prima di poter etichettare Meltingpot, ep d’esordio dei milanesi Brandes, è necessario ascoltarlo tutto. Noi lo abbiamo fatto per voi.

Le 7 tracce contenute in Meltingpot sono un concatenarsi di generi e influenze. Il 20 marzo il loro ep è stato presentato al mondo e a noi ha colpito la loro “indipendenza”, quasi noncuranza. Il quintetto di ragazzi poco più che ventenni è definito “poco milanese”, forse perchè in una città dedita alla trap e all’indie la loro devozione all’alternative rock di fine millennio si classifica a fatica; ancora di più se così modificata.

Dal 2018, anno in cui i Brandes sono nati come gruppo musicale, il lavoro di incontro e a volte forse scontro tra preferenze è stato continuo e meticoloso. Un lavoro che immaginiamo come interiore, in quel senso noncurante della corrente mainstream che scorre fuori dalla sala prove. Come racconta il fondatore dei Brandes, Stefano:

“La prima volta che conobbi Luca mi presentò una suite da 13 minuti, lo guardai e gli dissi che la trovavo interessante ma che c’erano 10 minuti di troppo. Così abbiamo iniziato a lavorarci sopra e da allora continuiamo a farlo con la voglia di trovare un compromesso sapiente tra i nostri mondi. Dal punto di vista creativo, le dinamiche dei Brandes sono complesse: c’è chi ama la musica classica e chi il punk; chi è affascinato dalla nuova ondata della trap e chi invece la detesta. Ognuno di noi è attratto da qualcosa di diverso e se ci chiedessero che genere facciamo non sapremmo dare una risposta precisa: i nostri brani sono difficilmente categorizzabili e ci piace farci trasportare dalla loro stranezza ed imprevedibilità.”

Così ci siamo divertiti a fare un gioco e provare a capire le influenze delle sette tracce di Melting Pot: abbiamo identificato i Muse, i White Stripes…e poi ci manca ancora qualcosa. Fatto sta che in Daydreams, Divine Disorder, Quiet si rintraccia una potenza non solo musicale, una sotterranea energia che cattura l’ascoltatore come la tele di un ragno. Attratti dalle sonorità volubili è impossibile non tendere l’orecchio anche a ciò che di umano i Brandes ci raccontano: “il desiderio di essere ascoltati e compresi su più livelli: quello musicale, quello artistico e quello umano“.

Nasce così Melting pot, uscito da pochi giorni e già sul trampolino di lancio per un quintetto che rimarrà nelle orecchie. Una mescolanza autoprodotta dove gli ingredienti sono la chitarra di Stefano Paiardi, le tastiere di Luca Brandes, il basso di Alessandro Brunetti, i colpi alla batteria di Ivan Dell’Anna e la particolare voce di Cut Ivan Cutolo.