Evocativo, mistico, ancestrale, “Ø” è il secondo disco del cantautore Massimo Silverio. Abbiamo contattato l’autore per farci raccontare come nascono queste musiche che catturano e colpiscono.
Il disco è breve (4 pezzi, 20 minuti circa), ma è un’opera che va assolutamente sentita e approfondita, dato il livello e la rarità di una musica di questo tipo, soprattutto dopo aver ascoltato il precedente demo “Le Retour du Zéphyr” (2016).
Già con “Le Retour du Zéphyr” infatti Massimo ci aveva condotto fuori dallo spazio e dal tempo. Entrambi i dischi sono opere immerse in una nebbia fitta e densa, in un bosco da Inferno dantesco, duro e crudo, suoni e parole sembrano provenire da rocce e da sottoboschi come quelli della Carnia, la regione settentrionale del Friuli, terra natìa del loro autore e cantante (ma anche chitarrista e violoncellista).
L’ambientazione della musica e dei testi sono infatti molto evocativi e lirici, di rarissima potenza, e si rivolgono all’essenza più nuda delle emozioni e delle identità dell’animo umano. “Ø” è un Caronte ma ancora più dark, se possibile, che ci conduce in un viscoso viaggio interiore attraverso la musica.
Il disco si apre con “Tiere” (“Terra” nella lingua friulana), a descriverci questo pezzo è l’autore stesso:
“Tiere” rappresenta simbolicamente il viaggio interiore in un ciclo che, come il rincorrersi tra luna e sole, possiede una ripetizione in apparenza eterna.
Sentivo il bisogno di provare a descrivere la staticità, il senso di stagnante e stantio, che talvolta tende ad accompagnare le lunghissime ore di introspezione che sono per me un luogo dove il tempo si spezza e ci fa scivolare in movimenti colossali dei quali non ci è concesso di percepirne il transito. Si ha dunque la sensazione di non progredire affatto quando invece, inesorabilmente, ci si sposta senza sosta assieme alla vita e all’universo.
Di fronte a questo enorme ciclo ed unico corpo siderale, ogni cosa, e quindi anche la morte del più “piccolo” tra gli intenti, la cosiddetta “meta”, ha il suo vero fine ultimo.
Lune-ues di Taur
Volte il dì, glot dùt l’aur(Luna-Osso di Toro
Volta il Giorno, inghiotti tutto l’oro)
Dopo Som (“Cima”), un rapido strumentale in tema con tutto il disco, c’è “Ø”, la lunghissima (10 minuti) title track:
“Som” introduce, sempre con l’idea di ciclo completato nel finale di “Ø”, la discesa nella disillusione cardine di questo EP.
Ho sempre nutrito un grande senso di sconfitta di fronte al mare. Ecco perché ho sentito di figurarlo come unico ed allegorico corpo pulsante contenente tutta la finzione, il futile, la sporca convinzione di cui noi tutti talvolta siamo portatori.
La giara sconfinata dove si riversano gli scarti, immenso relitto di carne e vermi, il vuoto saturo.
Qualcosa di infetto che si genera, contamina e annulla completamente da solo.
Divorarsi è il fine di questo ciclo, divorarsi per raggiungere nuovamente il “Som“.
Io sono il niente che alla veglia di voi madri
masticava le sue sbornie con il vetro
Il disco si chiude con “Jevâ” (“Svegliarsi”), cantato in lingua friulana, brano dalle splendide melodie che sposano in abito nero un ritmo incalzante e vario.
“Jevâ” è un qualcosa di più legato alla mia infanzia, invece. Un canto come vettore di sensazioni immutabili nel tempo, la consapevolezza che mi tiene ancorato, nonostante ogni disfacimento, al “Som”.
La Carnia è ovviamente la matrice di questo mio sentire, quindi penso si esprima da solo il perché ho scelto di cantare questa canzone in dialetto e di utilizzare, in maniera del tutto spontanea, la struttura metrica della villotta (il canto tradizionale friulano).
Quali artisti ritieni che ti abbiano influenzato e a cui ti ispiri di più?
Mi è sempre difficile rispondere a questa domanda. Ci sono indubbiamente degli artisti che mi hanno direttamente o indirettamente influenzato, ma lascio che la risposta venga stabilita da chi ascolta e trova delle eventuali analogie.
Quando scrivo cerco di focalizzarmi unicamente su quello che sento assecondando ogni mia idea più recondita.
Scrivo solo quello che sento e come lo sento.
Questo disco e il precedente sono collegati…
No, non necessariamente. LRDZ è, a tutti gli effetti, un capitolo a sé stante che rimarrà unicamente nelle mani di chi ne possiede una copia fisica. Una demo-raccolta di brani che scrissi tra i 16 e i 20 anni e dove si, avevo già sfiorato alcuni degli argomenti trattati anche qui in “Ø”, ma senza alcun tipo di considerabile connessione.
Musiche e testi di questo tipo sono difficilmente accessibili, anche a chi è appassionato di musica in generale. Questo è il tuo modo naturale di esprimerti attraverso la musica, oppure è frutto di una ricerca ben precisa?
La poesia, oltre alla musica, mi nutre ed appassiona da sempre. Sono purtroppo conscio e terribilmente dispiaciuto di come il mio lavoro viene considerato, ma non riesco ad esprimermi diversamente quando parlo di sensazioni che per loro natura sono complesse.
Mi lascio guidare dalla potenza e dal suono delle parole.
E questa è, a mio avviso, una delle libertà più profonde, pure, piene e belle che ci sia.
Non so se ci riesco, non so se la comprendo. Ma quel che mi domando costantemente è:
perché porsi limiti nelle immagini e nelle strutture?
Ciò che mi rattrista maggiormente è il considerare quanto l’ascoltatore medio schivi completamente l’impegno nella musica, così come nella vita reale.
Penso che obiettivamente la mia musica non sia difficilmente accessibile, semplicemente non è costruita sull’arte del distogliere lo sguardo, tara della contemporaneità.
I concerti di Massimo Silverio sono spettacolari, chi scrive ne ha visti e quando può torna sempre. Il programma per questo nuovo disco ha previsto anche un tour di presentazione europeo. Di solito si dice spesso che è più facile portare la propria musica all’estero, per te è così?
Grazie Diego!
Devo ammettere che la risposta all’estero è stata meravigliosamente positiva e si, molto più che in Italia a partire anche dalla primissima fase organizzativa.
C’è stato molto più ascolto per la mia proposta e una percentuale altissima di interessamento.
Anche l’effetto sul pubblico estero mi ha piacevolmente colpito, considerando lo scoglio non indifferente della lingua.
Merito senz’altro anche dei fantastici musicisti ed amici che mi hanno accompagnato durante questo tour (e che hanno anche seguito in prima persona la produzione di “Ø”), Leo Virgili e Nicholas Remondino.
I disegni e le grafiche del disco sono assolutamente in tema con le ambientazioni musicali. Vuoi parlarcene?
Ma certo. Il bellissimo quadro in copertina, e quello contenuto dentro il disco, sono stati realizzati da Anna Marta De Marchi, un’artista dalla grandissima sensibilità che ha seguito direttamente la genesi del mio “Ø”.
Ultimissima domanda, come si pronuncia il titolo dell’album “Ø”? E perché questo titolo così particolare?
Rappresenta il simbolo del vuoto. Credo che per gli argomenti trattati il senso si manifesti un po’ da sé.
Ma c’è un inespresso invito a riempire questo nulla, a riempirlo di proprie impressioni, le quali credo siano le più importanti di tutte.
Oltre le mie precedenti spiegazioni. Oltre la sorgente di queste canzoni.
Noi ringraziamo Massimo per la disponibilità, e vi consigliamo nuovamente “Ø”, disponibile su tutti gli store online, sui servizi di streaming, su Bandcamp e in copia fisica contattando l’artista sulla propria pagina Facebook o Instagram.