Un lunedì da leoni, un lunedì sera a tinte rock al Druso di Ranica con un salto indietro nel tempo di una trentina d’anni, quando gli Skid Row scalavano le classifiche di tutto il mondo con il loro sound inconfondibile, fatto di graffianti assoli di chitarre elettriche e di ballate in puro stile glam.
di Luca Giudici
In un locale colmo all’inverosimile, trasudante passione ed energia, ad aprire le danze e caricare un pubblico quanto mai eterogeneo, formato da “vecchi” nostalgici che hanno visto nascere la band del New Jersey a fine anni ’80 e da ragazzi giovani che non hanno mai potuto ammirare dal vivo Sebastian Bach, Rob Affuso e gli altri uniti sotto la stessa bandiera, ci hanno pensato tre splendide band nostrane: i milanesi Cream Pie, i bresciani Venus Mountains e i Dirty Thrills. A sottolineare come anche nel panorama italiano esistano ancora ottime band a cui locali come il Druso hanno il merito di dare lo spazio e il risalto che meritano.
Dopo la scarica di adrenalina dei Dirty Thrills, giusto il tempo di allestire il palco in puro stile americano, ed ecco che gli Skid Row irrompono con tutta la loro straripante energia. L’inizio è da cuori forti; pochi preamboli e si parte con la travolgente “Slave to the grind” dall’omonimo album del 1991. Dall’album d’esordio (Skid Row del 1989) “Sweet Little Sister” e “Piece of me” hanno da subito messo in chiaro l’intenzione della band di premere sull’acceleratore, con la voce e il carisma del nuovo frontman ZP Theart, ex cantante dei DragonForce, in forma smagliante, nonostante inizialmente le note più alte risultassero poco amplificate.
Senza nemmeno prender fiato, ecco “Livin on a Chain Gang” e “Big Guns” che hanno trascinato un pubblico in visibilio sino alla prima ballad di serata “18 and Life”, uno dei più grandi successi della band. Altri due pezzi tratti dall’album d’esordio, “Makin’ a Mess” e “Rattlesnake Shake”, per far muovere e sudare anche i reduci da un weekend di bagordi prima di rendere omaggio al leggendario Joey Ramone con una splendida versione di “Psyco Therapy” con Rachel Bolan alla voce.
Al rientro sul palco Zp Theart intona la struggente ballata “Quicksand Jesus”, tratta da Slave to the Grind, con un assolo strappa-applausi di Dave Snake Sabo, più in forma che mai, seguita da “Monkey Business” tratta dal medesimo album. Un’ora di puro rock senza respiro, con un’alternanza apprezzabile di pezzi lenti e veloci, prima di una piccola pausa per riprendere fiato e prepararsi al gran finale.
Ad aprire il consueto bis, “I Remember You”, con ogni probabilità il pezzo più famoso ed apprezzato anche dai semplici appassionati del genere, cantato a squarciagola da tutti i presenti. “We are the damned” e la potente e diretta “Get the Fuck Out” fanno spendere le ultime gocce di sudore ai rockettari del lunedì sera mentre con “Youth Gone Wild” la band si congeda alla grande dal suo pubblico entusiasta.
Un’ora e mezza scarsa di grande musica, di storia e di spettacolo per una band che, nonostante le mille vicissitudini e le rivoluzioni nella Line up, si dimostra più viva che mai.