L’entusiasmo dei giovani Loren: Ci salveremo Tour e altre storie

Musica indie, nuove gruppi indie, concerti indie…ormai c’è indie dappertutto, dappertutto c’è indie. Ma, nel marasma di nuove uscite e band neofite c’è spesso uno spunto interessante. Il caso dei Loren, gruppo formato da pochissimo tempo, al primo album è proprio questo: al primo ascolto si rimane agganciati ai testi di Oltreoceano, Blister e altri brani. E allo stesso modo si rimarrà felici dopo il live del Ci salveremo Tour che toccherà Bologna sabato 27 aprile al Locomotiv Club!

Siete una band molto giovane, avete pubblicato da pochi mesi il vostro album d’esordio omonimo e sabato 27 concluderete un tour, che vi ha portato in tutto lo stivale, sul palco del Locomotiv di Bologna, non è un po’ troppo?
Non l’avevamo mai pensata in questo modo. In effetti è tanta roba ma per gli stadi, obiettivo minimo del progetto, la strada è ancora molto lunga. (È ironico eh..)
 Cos’ha ispirato la scelta del vostro nome: Loren?
Guarda è stato un giro un po’ strano. In realtà inizialmente volevamo chiamarci Lorena, come la famiglia che ha governato Firenze abolendo la pena di morte (primo caso nel mondo). Successivamente abbiamo scoperto che Lorena in realtà era derivato da Loren e allora abbiamo optato per la seconda opzione.
Devi considerare che le parole che non finiscono con una vocale esercitano un grande fascino su di noi.
 Come nascono le vostre canzoni e quali sono i vostri punti di riferimento, d’ispirazione musicale?
Le nostre canzoni nascono dalle mani di uno di noi che decide di scriverle, a quel punto passiamo a fare l’arrangiamento tutti insieme e a fare grandissime discussioni filosofiche sul senso profondo della musica e sul nulla. Ogni canzone è un parto e un punto di equilibrio nuovo tra le nostre cinque teste.
L’unica idea fissa è che le canzoni nascono per essere suonate dal vivo quindi le pensiamo per essere efficaci sotto questo punto di vista.
Le influenze sono molto varie, dalle band internazionali  (Coldplay, Radiohead, The National, The Killers, Kings of Leon, Arctic Monkeys, Gorrilaz per citare i più famosi), passando per i solisti sperimentatori (Jack Garratt, Andy Shauf).

 Siete entrati nella grande famiglia Garrincha con i vostri bellissimi pezzi indie. Cosa avete da offrire di nuovo al panorama musicale italiano in questo momento?
È strano perché una critica che ci rivolgono molti (per noi non lo è affatto) è quella di essere molto distanti dall’indie che va adesso.
Sicuramente in noi resta forte l’idea di musica fatta da gruppo in sala prove e non quella di un produttore che ti fa una base per cantarci sopra.
Secondo noi un certo tipo di musica indie ha preso troppo questa strada ed è molto omologata, noi speriamo di portare il nostro modo di fare le cose nel modo più sincero e diretto possibile.
 Come vi siete trovati ad affrontare un tour così lungo e immaginiamo impegnativo? Qual è stata la risposta del pubblico?
Ci siamo trovati molto molto bene. Quando fai quello che ti piace la stanchezza diventa un fatto accessorio.
Abbiamo avuto la grande fortuna di avere due persone speciali che ci seguono in tutte le date che sono Rocca (il Tour Manager) e Nat (il fonico).
Loro risolvono veramente ogni problema che salta fuori e ci lasciano liberi di concentrarci solo sul suonare e dare il massimo.
Il pubblico che abbiamo incontrato fino ad ora è sempre stato molto attento e festoso. È strano passare i post concerti a parlare dei testi delle nostre canzoni.
Abbiamo ricevuto degli spunti e delle chiavi di lettura pazzeschi.
 Che progetti avete per il prossimo futuro? Cosa bolle in pentola per i Loren?
Non ti possiamo dire nulla.
In questi anni di hype e social esasperati pare che sia sempre la cosa migliore da dire.
Abbiamo voglia di suonare tanto ma siamo già partiti con nuove canzoni e presto usciranno anche cose nuove.
 Domanda bonus. Da tifoso atalantino a tifosi della Fiorentina: un pronostico per la semifinale di Coppa Italia?
“Maramaldo, tu uccidi un uomo morto…”.
Purtroppo l’Atalanta in questo momento sembra di un’altra categoria.
Vi auguriamo di giocare una bella finale. (L’arte di gufare pagina 3)