Anarchia e magia: il mondo degli Zen Circus fa festa al Duse

“Stasera faremo un po’ quello che ci pare, va bene?”, chiarisce subito Appino dal palco del Teatro Duse il 6 dicembre.

Non avevamo dubbi, pensavo, e questo è un po’ il marchio degli Zen Circus, che con la festa sold out di dicembre (che si ripeterà il 22 dicembre a Firenze) hanno salutato i fan col botto.

Dopo un tour intensissimo che li ha portati in giro per l’Italia, su e giù per la penisola, la sensazione è che la band pisana abbia proprio voglia di rilassarsi e festeggiare col pubblico, come hanno dimostrato più volte di saper fare.

La location della festa peraltro rende la capacità istrionica della band una ripetuta conferma. Da un lato c’è il Teatro Duse, che anno dopo anno conferma una capacità di allargare gli orizzonti di programmazione per abbracciare istanze, musicali e non solo teatrali, di indubbia qualità. Dall’altra gli Zen Circus camaleontici e poliedrici, sono capaci di fare calzare a pennello un live anche ai luoghi più impensabili.

Una festa con gli Zen Circus in un luogo dove non si può ballare e saltare sembra strano? Loro ce la fanno. Hanno fatto, come sempre, una magia.

Precisi come dei pisani svizzeri hanno iniziato uno spettacolo lungo quasi due ore alle 21.30, quando un finto-spaesato monociclista si è stagliato sul porpora del pesante drappo; pochi minuti prima che si scoprisse un palco a cavallo tra sogno e incubo, con un tendone da circo e strumenti da giocoliere (messi poi in azione da acrobati verissimi).

Si sparpaglia sul palco la cinquina toscana, in abiti onirici (tranne un serissimo geometra), capitanati da in Appino sosia di Joaquine Phoenix. Un clown squilibrato per finta conduce il pubblico in un continuo rimbalzare tra brani recentissimi, fino a scavare della prima discografia anglofona e molto più punk.

Ufo interagisce col pubblico con un umorismo adorabile e il Maestro Pellegrini si perde in reef introspettivi, mentre tutti i brani sono leggermente modificati da arrangiamenti nuovi, esibizioni dislocate, la palla passata al pubblico.

Tra le poltrone si vedono stili e facce tipiche da live club che invece stipano il teatro, che si alzano in piedi quando la band regala tre pezzi in acustico: salgono al piano superiore, tagliano la platea, risalgono e si fermano sul proscenio perché ribadiscono “facciamo quello che ci pare”.

E alla fine è proprio questo lo scopo di una festa: divertirsi, fare un po’quello che si vuole. E in questi il circo Zen dimostra di sapere, come ha saputo fare negli ultimi 23 anni, tutte le regole. Anche e soprattutto quelle da non seguire, perché l’anarchia e i sentimenti sono con loro sul palco, con noi pubblico, e rinsaldano ancora di più quel legame che le migliori band sanno creare, mantenere e rinnovare live dopo live, album dopo album.

Sarà difficile accettare la pausa dei prossimi mesi, ma dopotutto abbiamo tanto da ascoltare, riascoltare e rivivere.