Tash, Sultana caleidoscopica di Ferrara sotto le Stelle

Il cielo è tinteggiato di colori pastello, all’orizzonte si staglia il monumentale Castello simbolo della città degli Este. Manca poco, tra pochi passi entrerò nel recinto di una delle manifestazioni più interessanti dell’estate emiliana. E non solo. Anche quest’anno Ferrara sotto le Stelle non si smentisce e decide di portare le stelle sul palco: dal 1996 i nomi sono spettacolari e per l’edizione 2019 dopo Julia Holder, Soap and skin, Teenage Fanclub e Thom York Tomorrow modern Boxes arriva la serata di chiusura. Ed è un esplosione emozionale.

A scaldare l’atmosfera ci pensa il duo Pierce Brothers che porta influenze australiane sulla folla che pian piano riempie la piazza. Piccolo commento di un’amica che mi accompagna: “Per essere in due fanno un bel casino”. Eh si, il duo partito da Melbourne si arma di chitarra e una voce strabiliante per pezzi realmente incantevoli, intervallati da saluti alla folla in un italiano irresistibile e incitazioni al live più atteso della stagione. Poi sale lei.

Ok, sono ad un live, no aspetta sono ad un live negli anni ’70, anzi no aspetta sono in una discoteca, aspetta forse sono in un trip pazzesco e tutto è un caleidoscopio musico/visivo. Un attimo, respiro, è tutto a posto: sono solo al live di Tash Sultana.

foto di Carlo Vergani – Front Row Magazine
foto di Carlo Vergani – Front Row Magazine

La sua musica è, e questo è fuori da ogni discussione, un trip naturale che ti sballa per il tempo dell’esibizione, senza conseguenze negative (se non i postumi di un live sconvolgentemente bello). Quindi, niente di illegale, che si sappia. A tranquillizzare tutti prima del suo arrivo due occhi orientali e benevoli controllano la situazione dal fondale del palco, muovendosi sulla folla e facendo l’occhiolino forse a Tash, al momento di salire. Con la musica e con tutto ciò che di spirituale può esserci in quest’arte la veniquattrenne australiana deve averci un po’ a che fare, se no non si spiega la magia che riesce a creare.

Partendo con un pezzo dove la chitarra è oggettivamente viva Tash Sultana riesce a zittire tutti, mentre alle sue spalle la visual art fa la sua in un turbinio di occhi, caleidoscopi, colori avvolgenti. Pantaloni neri, tshirt in tinta e cappellino con visiera guizzano da un punto all’altro dello stage, sulle casse ai bordi, nella postazione centrale. Da qui, come se fosse il cappello di un mago, Tash Sultana estrae a sorpresa sempre nuovi strumenti, si appollaia e riemerge, si stende suonando la chitarra in posizioni umanamente improbabili. Dal bordo del palco, quasi fosse un lupo che si protende verso la luna, suona energicamente una tromba, sorprendendo tutta la platea. E’ solo la prima delle magie.

Tra assoli di chitarra che manco il più vetusto dei rocker potrebbe criticare inserisce scarti musicali incredibili: le basi diventano improvvisamente quasi dub e mentre ci si lascia avvolgere e si inizia a saltare la base vira e l’aria è tagliata da una voce carezzevole. Forse il canto di una sirena che ammaliava i marinai o forse no: sono le corde vocali di Tash Sultana che si attivano in pochi, ma cruciali momenti nelle quasi due ore di concerto.

Vi eravate abituati all’idea di chitarra, voce e basi coccolanti? Sveglia brusca, la base si anima e Natasha sfodera un flauto di pan. Ripeto, non siamo in un trip, è tutto vero: la cantautrice sfodera le canne di bamboo e inizia una beatbox su flauto che dapprima immobilizza e poi impedisce di stare fermi: mentre lei con un microfono nella mano libera amplifica la magia perchè arrivi a tutti, la platea incita e balla.

Inimitabile continua il trip creato ad arte (la musica in questo caso), interrotta solo una volta dalla voce di Tash che non sta cantando: unico piccolo momento di conversazione “tradizionale” con la platea per dire che ci ama tutti. Sì, va bene, lo dirà a tutte le platee di tutti i live della sua carriera, però le parole che usa sono consolatorie: “siamo una folla e un corpo unico però ognuno di voi è speciale a modo suo: chissenefrega della cazzo di età, o del cazzo di gender. Siete splendidi, qualunque sia il vostro modo di essere”. Grazie Tash, davvero. 

Quando ormai c’è odore di fine del live la cantautrice australiana è un grillo e con la chitarra issata, che manco un pirata all’arrembaggio, salta da un punto all’altro del palco saturando la piazza con accordi che ammettiamolo, sono inumani. Non credo che gli alieni possano essere in mezzo a noi, ma la capacità di Tash Sultana di far scaturire dagli strumenti l’equivalente di un’intera band non ha nulla di umanamente concepibile. Piccola finta, uscita prima del colpo di coda finale; ci credono in pochi, quanto basta per farci avanzare un po’ e riuscire a scorgere da vicino il volto della ventiquattrenne made in Melbourne. Le luci e il fondale si spengono e rimane uno spaurito occhio di bue che fa cadere a pioggia la luce su BlackBird, brano cantato e accompagnato dalla chitarra acustica in un momento di introspezione raro. Forse un modo diverso di vedere la musica che per Tash sappiamo essere stato un modo di ordinare e regolare in suo mondo interiore durante un’adolescenza non proprio tranquilla. Un piccolo regalo che è il vero saluto prima della chiusura di un’altra impagabile edizione di uno dei festival qualitativamente più invidiabili in Italia.

Scaletta:

Seed
Big Smoke
Mystik
Free Mind
Notion
Synergy
Jungle

Encore:
Blackbird