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Remembering Cacao al Freakout Club: ed è subito Brasilio

Di Alessandro Spinelli

Cos’hanno in comune un contadino romagnolo, un brasiliano che danza su ritmi caraibici e gli Infecteed Mushroom? Forse la stessa coerenza d’insieme che potrebbe avere un Solero Algida servito dopo un whiskino, magari al bar del Freakout Club di Bologna… ovvero nessuna!

Eppure, fermandoci un momento, potremmo sentire che tutto questo appartiene legittimamente allo stesso spazio cosmico, alla stessa nota che continua a riverberare in un delay di basso ben calibrato.
Sarebbe tutto molto bello, la verità, però, e lo sapete anche voi, è che tutta questa attinenza tra gli elementi delle nostre vite è molto più difficile da comprendere. Io ad esempio non la capisco, anche se posso dirvi che ogni tanto una cannetta aiuta, così come posso assicurarvi che se fossi stato originario di Savignano del Rubicone, dopo i primi due minuti del concerto dei Cacao, avrei certamente esclamato “DIOBO’!”.
I Cacao sono un duo composto da Matteo Pozzi alla chitarra e Diego Pasini al basso che il 23 novembre 2017, al Freakout, ci ha deliziato rifacendoci più o meno integralmente l’album strumentale “Astral”, uscito nel 2016 per Brutture Moderne/Audioglobe (ve lo potete cuccare su spotify, tubo o vai streaming in rete).

Il duo è particolare già dalla formazione, priva di batterista, anche se live il basso non ci fa rimpiangere l’assenza delle percussioni. Nemmeno la chitarra annoia, come talvolta può accadere ai concerti dei duo strumentali che azzardano sperimentazione. I due infatti si distaccano dalla composizione originale dei brani e prendono il largo mare dell’improvvisazione, un mare lunatico, che tra scrosci valzerini (Roboto), cavalcate kraut caraibiche (Brasilio), romanticate inaspettate (Lulù), momenti d’ironia psichedelica (Contadini) e timide cupezze robotiche (Anno 1000), lascia spesso il Freakout tra le onde del silenzio contemplativo. Nel mentre ‘sti Cacao, come le nostre orecchie, si divertono non poco. Cosa insolita anche per gli avventori del luogo, abituati ad adorabili e ben più casciarone aggressioni sonore. Il post serata, quindi, per me vira nella voglia di fare dell’esperienza una recensione/intervista che non era stata prevista.
Scopro solo dopo che nel sito Noisey di Vice, “Brasilio” è scelta come una delle migliori tracce uscite nel 2016 e che il duo il 18 luglio aprirà ai Dinosaur Jr.

Ma per capire meglio chi, cosa, quando, come e perché ecco qua di seguito una chiacchierata fatta a fine concerto con i due simpatici ribaldi, e ci tengo a sottolineare che prima dell’intervista non era stato consumato nessun Solero Algida.

A parte Renzo Arbore, perchè Cacao?

DIEGO – E’ la cosa meno interessante della storia. La prima volta che abbiamo suonato assieme facevamo le medie, non ce l’abbiamo fatta e non ne abbiamo parlato per un anno. Io e Matteo suoniamo in un gruppo punk rock da quando abbiamo 15 anni, dal 99 [ndr. parla degli Actionman]. Contemporaneamente abbiamo sempre fatto delle jam, soprattutto col nostro batterista, lui è di Savignano, noi siamo di Ravenna. Una volta è venuta fuori una jam un pò caraibica, che poi è anche la roba che facevamo all’inizio. Quella jam era un pò più allegrotta e da questo riff un pò Caraibico che Matteo aveva chiamato Cacao abbiamo preso il nome. Il nome è la cosa più a caso di tutte del nostro progetto. E’ nato nel 2012.

In effetti si nota molta complicità insieme al fatto che sembrate divertirvi molto mentre suonate…

DIEGO – Si, ci divertiamo, se no non lo faremmo neanche. Se dovessi fare qualcosa che non mi piace, tipo ballare musica contemporanea, non lo farei… però adesso che ci penso potrei anche divertirmi!

La canzone con cui avete aperto il concerto (Roboto) inizia con un giro di basso che mi ha fatto subito pensare a un pezzo di “Middle” dei “Pink Floyd”.

DIEGO – Ah, si certo, “One of these days“…

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Si, esatto, in Italia meglio conosciuto come “La sigla di Dribbling”… voi cosa ne pensate?

DIEGO – [Ride] Rispondo io che suono il basso… quel pezzo lì mi ha ispirato di brutto [segue un “DIOBO!” di Matteo] . Quella è stata la prima volta che ho sentito un basso col delay e prima di capire cosa fosse un delay mi ero sempre chiesto: ma come fa a fare questa cosa? E poi da lì, quando ho incontrato il delay è nata, come dire, una “deformazione professionale” con questo strumento.

Stupisce il vostro essere davvero eclettici, sembra quasi che il figlio di una coppia gay composta da Robert Johnson e Al Di Meola incontrasse gli Infected Mushroom.

DIEGO – Tra l’altro Al Di Meola l’ho conosciuto… [Matteo sussurra… “Si, hanno fatto l’amore…”] Ha un parrucchino veramente curato, è molto basso e ha questo parrucchino da un migliaio di dollari! Mi piace il suo sound anni ’80 che forse abbiamo anche noi. Suona con la chitarra classica o acustica ma passando da dei suoni midi, insomma, riguardo la cosa che hai detto, si, ci può stare assolutamente.

Provo ad essere per un attimo serio, ma ritenete di essere stati contaminati anche da un particolare tipo di musica elettronica?

MATTEO – Come dovrebbe essere nella vita a noi piace ascoltar la musica, ascoltiamo un pò di tutto. La cosa divertente è che proviamo anche a rifarlo. Son quelle cose che nascono così.
DIEGO – Proviamo a risuonarla fuori con dei suoni analogici, abbiamo dei pedali anche vecchi con cui riusciamo a ricavare quei suoni che magari stanno un po’ nel mezzo. La tecno ci piace. Provandola a fare, con i dovuti metri di paragone, con un basso e una chitarra secondo me è una bomba. Bisogna lavorarci ma è bello provarci.

Parlando del vostro lato un pò prog – math rock, che poi non è nemmeno math rock… insomma, come definireste quello che fate? Mi sembra qualcosa abbastanza fuori da una categoria.

MATTEO – Avendo avuto sempre problemi coi batteristi è venuta fuori sta roba. Abbiamo cominciato a suonare insieme alle medie, a un certo punto abbiamo detto “Dai, siamo io e te, abbiamo il basso e la chitarra, la droga e le sambuche, possiamo provare anche a continuare a suonare di pomeriggio“. Centra un po’ la depressione [ridono], stavamo male. Con l’altro gruppo, benché  suonassimo insieme da 18 anni, stava andando un po’ male. Eravamo demoralizzati, ci aveva sfanculato anche il cantante. Noi però eravamo presi bene a fare dei tour quindi abbiamo deciso di fare altra roba.

Cosa suonavate con l’altro gruppo?

MATTEO – Con gli Actionman facevamo punk hardcore. Siamo i classici ragazzi anni 90 – 2000 che alle superiori ascoltavano quella roba lì… NOFX, Lagwagon… poi dopo abbiamo provato anche lì a personalizzare lo stile. Ora siam noi più il batterista, ma come vedi tendiamo al minimalismo,  fin quando non diventeremo due produttori singoli, ognuno da sè, verso il minimalismo più assoluto. Forse faremo un disco di sospiri [sospira] e la copiosità sarà nel nostro essere.

Se la vostra musica dovesse essere la colonna sonora di un genere filmico, quale?

DIEGO – A me piace molto Jodorowsky… insomma delle cose un pò sviaggiose, surrealismo…
MATTEO – Delle robe supertekno, alla Ghost in the Shell…
DIEGO – Dai anche Ken il Guerriero!

Dopo il punk hardcore, com’è stato per voi canalizzare la rabbia e la linea dritta di questo genere in un tipo di musica molto più pulita e imprevedibile?

DIEGO – E’ stato abbastanza spontaneo. Nel tour in Spagna del 2012 con gli “Above the tree”, tour da cui è partito tutto, siam andati proprio all’arrembaggio, abbiamo preso backline e furgone e siam partiti facendo sta roba qua.
MATTEO – Eravamo partiti che facevamo delle jam un pò più doom, delle sessioni di ore, il nostro chitarrista era spesso occupato e quindi da soli, in un posto come Ravenna, puoi immaginare. Nel 2012 era anche un po’ più impro come cosa, alla fine quell’anno abbiamo fatto 4 concerti in Italia e 28 in Spagna, ma adesso abbiamo recuperato alla grande.

Anche durante questo concerto mi è sembrato che ci fosse una buona componente d’improvvisazione…

DIEGO – Si, certo. Nel disco i pezzi suonano in una maniera, le strutture son quelle ma dal vivo prendono un nuovo corso. A parte, ovviamente, qualche brano un po’ più criptico.

Diego, credi ti abbiano influenzato alcuni jazzisti?

DIEGO – Io sono un ignorantone [ride]. Mi piace ascoltare molta musica ma, ad esempio, ai Misfits, che non centrano nulla, ci sono arrivato adesso, non li avevo mai cagati e ora li ascolto moltissimo. Mark Ribot per me è un bomber ma anche lui l’ho scoperto dopo, una sera a caso.
MATTEO – Nella scena di Ravenna credo che noi siamo dentro tutto e dentro niente. Essere abbastanza liquidi in questo senso è una fortuna.
DIEGO – Venendo dal punk rock che ha tutto un ambiente e una scena, come dire, ben definita e chiusa, con un linguaggio specifico che non si può eludere e suonando nell’altro progetto dal ’99, fare con i Cacao quel che facciamo è esattamente l’opposto, perché puoi suonare ovunque, stare in tante scatole.

State suonando molto in giro?

MATTEO – Si, ieri eravamo a Ferrara e siamo in tour praticamente dall’uscita del disco nel 2016. Anche essere in due ci rende l’organizzazione migliore.
DIEGO – Entrambi poi facciamo dei lavori che ci permettono di organizzare in maniera abbastanza autonoma i tempi. Dividere i proventi dei concerti solo in due ti permette di avere i mezzi per continuare a spostarti e farli. Se non esistesse questa premessa sarebbe tutto irrealizzabile. Il disco ci piace molto e ci piace farlo sentire…
MATTEO – Si, comunque continueremmo a suonare insieme anche se non ci fosse la possibilità dei concerti…
DIEGO – … tipo un segaparty in due. [ride] No, in effetti, non abbiamo mai dato per scontato la cosa che ci fosse qualcuno che apprezza quello che facciamo, soprattutto considerando che veniamo da un ambito dove c’è molta gente che non ci apprezza minimamente. Il che è lecito, ad esempio i Korn piacciono a tanti ma a me fan cagare.

Come darti torto, grazie ragazzi e al prossimo concerto.
[seguono 2 minuti di registrazione di puro non sense con i due Boys e altri simpatici avventori del Freakout, la causa è che non riesco a spegnere il registratore del telefono, ne approfitto quindi per ringraziare Sara che, prestandomi il telefono in questione, ha contribuito a rendere possibile questa intervista]