Rientrare al Locomotiv Club venerdì 15 ottobre è stato mistico. La capienza piena, il palco illuminato, tutto il pubblico che arriva alla spicciolata per fare la coda e assistere al concerto di Adriano Viterbini.
Con i nostri amici ci siamo guardati sussurrando “ma qui ci possiamo sedere?“, “uau, guarda che bello il Locomotiv!“, come quando sei in chiesa, e fin da piccolo ti dicono di non fare casino. Potremmo fare una breve digressione sulla fede nella musica, ma non serve. Se state leggendo siete sicuramente adepti come noi.
Si, la stranezza delle sedute c’era, ma per il concerto di Adriano Viterbini in fondo non erano nemmeno così male. Uno dei chitarristi più potenti del panorama italiano e le sue chitarre. Uno spettacolo che dal titolo sembra prosa, ma era indiscutibilmente musica, pura musica. A rafforzare questa sensazione anche il fatto che Viterbini è decisamente di poche parole. Cosa che, va detta, va a braccetto col fatto che le sue chitarre parlano eccome.
Circondato da strumenti a corda di ogni foggia, alcune che esiteremmo a chiamare proprio chitarre, Viterbini ha creato un viaggio proprio come promesso nella descrizione dell’evento. La naturale titubanza che poteva sorgere verso un concerto di sola chitarra è sparito come la nebbiolina mattutina al primo tocco delle corde. Partendo da una chitarra blues, per passare ad un acustica, un’elettronica, un’elettronica blues, passando da una distorsione elettronica e una sorta di pagaia a due corde (che, lo ammettiamo, siamo un po’ ignoranti e non sappiamo come si chiama), Adriano Viterbini ha condotto il suo pubblico, palesemente in trance estatica.
Sonotità blues, ma anche omaggi al suo gruppo, gli I Hate My Village, ai Nirvana oltre che a musicisti che, come ci spiega, non poteva che omaggiare perchè fondanti per la sua formazione musicale. Noi, dobbiamo atterlo, più volte ci siamo ritrovati ad occhi chiusi, immersi nel trasporto di quei brani.
Dopo un’ora e mezza di esibizione non eravamo gli unici a voler rimanere ancora in quel flusso di corde (e a tratti di voce), tanto da richiamare Adriano Viterbini a gran voce. Forse cinque delle dieci parole che ha detto in tutto il musicista sono state proprio per ringraziarci a sua volta, e per ricordarci che era lusingato. Noi siamoa ncora perplessi, ma capiamo che un musicista senza pubblico forse si sente un po’ una mela senza la sua metà; venerdì, senza dubbio, Adriano Viterbni e le sue chitarre sono state la nostra metà della mela.